sabato 24 gennaio 2009

Autori contemporanei da leggere

Hi students,
yesterday, surfing the net, I found the following books which talk about love stories. Here they are:
1) "Espiazione" di Ian Mc Ewan
2) "La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo" .... you should find the author
3) "L' amore ai tempi del colera" di Marquez
4) " Scritto sul corpo" di Jeannette Winterson
5) "Maurice" E.M.Forster
6) "Anna Karenina" Tolstoj
7) "Le braci" Marai
8) "Il mare di legno" J. Carroll
9) "Il principe delle maree" Conroy
10) "Caro agli dei" Marti Leimbach
11) "La sposa liberata" Yehousha
12) " Frammenti di un discorso amoroso" Barthes
13) " Musica" Mishima
14) "Neve" Maxence Fermine
15) "Il cavaliere d'inverno" Paullina Simmons
16) " Come l'acqua per il cioccolato" Laura Esquivel
17) "Una musica costante" Vikhram Seth
18) "Acqua di mare" Charles Simmons
19) " Incontro d'amore in un paese in guerra" Sepulveda

Do you know any of them?

La prof

31 commenti:

  1. I don't know any ok them, but I,m curious so I want to read one of them, maybe "Incontro d'amore in un paese di guerra"

    Do you have the book?

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  2. As Sissi I haven't already read any of these books,but I think that I'll be corious to know "Musica" and "Come l'acqua per il ciocclato"

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  3. This evenings we have watched the French opera "Carmen" (it is difficult to understand).It deals with love,love of betrayals, passional love that transform itself in hate.This is another form of love, this is a sort of obsession.

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  4. Correzioni per Arianna: I haven't read any of these books yet, but I am curious to read---

    Correzioni per Silvia : Tonight we watched the French opera "Carmen". (It was difficult to understand) .It deals with love, betrayals, passionate love which turns into hatred.
    I'm sorry, I don't have the book you require, but I think you can find it at the local library or at school too.

    I agree with your comments. If you like you can do a research on the net and you can add it on your written homework.

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  5. Hi everybodyyyyy!!!!this blog is very cool ^_^

    I want to read "una musica costante"...I like the title because it suggests to a strong love...something that is always in your mind...like a "zahir"...Have you ever read "Zahir" of Paolo Cohelo???if you read it you can understand what I wrote :) bye Juliet

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  6. raga c'è un problema ahahahah xk io scrivo da parte della prof ahahah scusate e helpatemiii

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  7. Hi everybody! What are you doing? Ah AH Ah I am on facebook too! Remember: Big Brother is watching you!

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  8. One of these evenings I am going to watch a wonderful film "I colori dell'anima" , which talks about the strange but true struggle between Picasso and Modigliani!! It is really fantastic!Believe me!

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  9. seeeee finally I understand!!!!! :D

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  10. Hi!I also like to read "INCONTRO D'AMORE IN UN PAESE DI GUERRA" but also "ACQUA DI MARE" or "COME L'ACQUA PER IL CIOCCOLATO". I am corious to read the latter also because i love very much chocolate!!!!

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  11. Maybe I should really read Tolstoj's Anna Karenina or at least one of these. L.A.C.

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  12. Why do people always look for happiness and love?
    Answer this question, please, referring to the authors studied, to the world of music and art in general, to books and poems you like.

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  13. People always look for love and happiness beacause this feelings are a refuse for mind! Also the poet find refuse in love like wordsworth!
    infact wordsworth take refuse in nature because give tranquillity and relief!So he escapes from the society.But there are many tipe of love. Love for family, love for other people, love for music, love for soprannatural etc...

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  14. then when i sad, i take refuse in the music, because it gives me tranquillity! sopra ho sbagliato è the poet finds, wordsworth takes refuse!

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  15. Very good, Annina!! You've broken the ice! I'm going to correct your mistakes later, but now, please, go on writing... all that you have in mind!

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  16. Correzioni per Annina: people always look for love and happiness because these feelings are a sort of refuge for their minds. Wordsworth, for example, is a poet who takes refuge in love and nature. Nature gives him tranquillity and relief. In this way he escapes from society. There are many types of love: LOVE FOR FAMILY, LOVE FOR ANOTHER PERSON, LOVE FOR MUSIC, LOVE FOR THE SUPERNATURAL...

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  17. Il premio Nobel per la Letteratura Gabriel Garcia Marquez, nonché autore dello splendido Cent’anni di solitudine, ha scritto L’amore ai tempi del colera nel 1985.
    Il regista Mike Newell, affermatosi grazie al quarto film della saga di Harry Potter, ne ha fatto un adattamento cinematografico uscito in dicembre 2007. I protagonisti sono Giovanna Mezzogiorno nel ruolo di Fermina e Javier Bardem in quello di Florentino. Come spesso accade con i film tratti da splendidi romanzi, il film in questione non è stato in grado di emozionare come le parole di Marquez, nonostante la bravura dei due protagonisti.
    Il giovane telegrafista, incline alla poesia, Florentino Ariza, avendo ricevuto l’incarico di consegnare un telegramma alla famiglia Daza, appena arrivata in città, incontra la bellissima Fermina e se ne innamora perdutamente. Le scrive così una lettera, intraprendendo in questo modo un rapporto epistolare con la giovane che sembra ricambiare i suoi sentimenti. Ma quando il padre di Fermina, Lorenzo Daza, scopre la loro relazione, ne è totalmente contrariato e cerca di dividerli, sperando in un partito migliore per la sua unica figlia. La porta così a vivere in un’altra città sperando che i due innamorati si dimentichino l’uno dell’altra. Nonostante soffrano per il perduto amore le loro strade si dividono: Fermina sposa uno degli uomini più illustri e ricchi della città, il giovane e affascinante medico Juvenal Urbino, che nel film viene interpretato da Benjamin Bratt; Florentino comincia invece a lavorare nella compagnia fluviale dello zio Don Leo riuscendo in una brillante quanto rapida carriera e vivendo numerose avventure.
    Ma è davvero tutto finito? E’ davvero un amore ostacolato e sconfitto come tanti ce ne sono stati ed altrettanti ce ne saranno? E per quanto tempo è possibile attendere che un grande amore possa essere vissuto? Questa storia la dice assai lunga sui tempi di attesa e sulla capacità di pazientare.
    Più di mezzo secolo… Questo è il tempo della perseveranza di Florentino e del suo incrollabile sentimento. Nonostante abbia avuto molte donne, Florentino ha continuato ad amare solo Fermina. La stessa Fermina che vive il suo matrimonio, mette al mondo dei bambini ed ogni tanto dubita della sua scelta. Florentino e Fermina: un amore cominciato a vent’anni e coronato dopo i settanta.
    Un amore infinito, una passione senza eguali in un paese del sud America tormentato da odi e guerre civili, da malattie e pestilenze.
    E’ un libro che ho amato molto. Marquez con questa narrazione fiabesca e per certi versi atipica, colorata dal sole del mondo caraibico e dal folclore dei suoi abitanti, abbandona il suo impegno di denuncia sociale per raccontare, attraverso personaggi straordinari, una “odissea” d’amore e passione. Un libro accattivante, un esempio perfetto di stile e ritmo, uno splendido connubio di dolore e morte, di destino e sofferenza, di diniego e perseveranza.
    Un inno all’amore, magico e poetico da leggere tutto d’un fiato…

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  18. Yuko è un giovane poeta giapponese.

    Nei suoi Haiku sa cantare solo lo splendore e la bianchezza della neve.



    Soseki è un anziano pittore divenuto cieco.

    Vive nel ricordo di un amore perduto.



    Neve è una ragazza bellissima.

    Il suo corpo giace per sempre tra i ghiacci.



    A legare i loro destini, un filo,

    disperatamente teso tra le cime di due montagna,

    come sinbolo di un esercizio funambolico impossibile da eseguire.



    Una favola senza tempo,

    che parla al lettore di vita e di poesia,

    di amore e di morte,

    e di un fiocco di neve che cade leggero dal cielo.







    ...Yuko Akita aveva due passioni.

    L'haiku.

    E la neve.



    L'haiku è un genere letterario giapponese. E' una breve poesia di tre versi e diciassette sillabe. Non una di più.



    La neve è una poesia , una poesia che cade dalle nuvole in fiocchi bianchi e leggeri.Questa poesia arriva dalle labbra del cielo, dalla mano di Dio.



    Ha un nome. un nome di un candore smagliante.



    Neve...







    "Padre," disse il mattino del suo compleanno, in riva al fiume argentato, "voglio diventare poeta."...

    ..."La poesia non è un mestiere. E' un passatempo. Le poesie sono acqua che scorre. Come questo fiume."

    "E' esattamente quello che voglio fare. Imparare a guardare il tempo che scorre."




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    "Cos'è la poesia?" domandò il monaco.

    "E' un mistero ineffabile" rispose Yuko.

    Un mattino, il rumore della brocca d'acqua che si spacca fa germogliare nella testa una goccia di poesia, risveglia l'animo e gli conferisce la sua bellezza. E' il momento di dire l'indicibile. E' il momento di viaggiare senza muoversi. E' il momento di diventare poeti.

    Non abbellire niente. Non parlare. Guardare e scrivere. Con poche parole. Diciassette sillabe. Un Haiku.

    Un mattino, ci si sveglia. E' il momento di ritirarsi dal mondo, per sbalordirsene.

    Un mattino, si prende il tempo per guardarsi vivere.




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    La neve possiede cinque caratteristiche principali:



    E' bianca.

    Congela la natura e la protegge.

    Si trasforma continuamente.

    E' sdrucciolevole.

    Si muta in acqua.



    ...



    ...Yuko, invece, nella sua compagna vedeva cinque caratteristiche diverse, che appagavano il suo talento artistico.

    "E' bianca. Dunque è una poesia. Una poesia di una grande purezza.

    Congela la natura e la protegge. Dunque è una vernice. La più delicata vernice dell'inverno.

    Si trasforma continuamente. Dunque è una calligrafia. Ci sono diecimila modi per scrivere la parola neve.

    E' sdrucciolevole. Dunque è una danza. Sulla neve ogni uomo può credersi funambolo.

    Si muta in acqua. Dunque è una musica. In primavera trasfrma fiumi e torrenti in sinfonie di note bianche."




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    La giovane donna imprigionata sotto il ghiaccio sembrava fragile e tenera come un sogno. Il fulgore della sua chioma d'oro risplendeva come fiamma di torcia. Le sue palpebre, benchè chiuse, lasciavano trsparire il blu gelido degli occhi, come se l'usura del ghiaccio avesse reso diafana la tenue pelle che proteggeva lo sguardo. Il suo viso era bianco come la neve.

    Yuko la guardò in silenzio, soggiogato da tanta bellezza.




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    Il primo giorno di lezione, vicino al fiume ancora immerso nell'alba, il vecchio Soseki chiese a Yuko di chiudere gli occhi e di immaginare il colore.



    "Il colore non è all'esterno. Esso è in noi. Solo la luce è fuori," disse. "Cosa vedi?"

    "Nulla. Con gli occhi chiusi vedo solo del nero. Perchè, voi no?"

    "No," rispose Soseki. "Io vedo ancora il blu delle rane e il giallo del cielo, chi è il più cieco tra noi due?"





    Haiku del libro







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    Stai ascoltando musica Haiku

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    Rielaborazione grafica © by Alba

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  19. Musica
    di Yukio Mishima





    Yukio Mishima, Musica, Feltrinelli
    “L’incesto è, come molte altre cose irregolari, una circostanza molto poetica”

    Shelley



    “La professione di psicoanalista all’inizio era quasi per nulla conosciuta, ma a poco a poco è diventata più nota; naturalmente non si può paragonare con la popolarità che gode in America, ma il fatto che adesso io possa permettermi di pagare un costoso affitto per uno studio…”

    Lo studio in questione è lo studio del dottor Shiomi Kazunori, psichiatra, ed è situato nel centro diTokio, a Hibiya.



    “…fra i miei pazienti ci sono impiegati e segretarie, ma anche entraineuse e signore ricche;naturalmente mi faccio pagare, e bene, da qualsiasi tipo di paziente.”

    E in effetti sembra che, pagare il conto del medico, al di là degli eccessi e dei relativi riflessi sulle tasche del paziente, rappresenti una delle tappe verso una “convinta” guarigione!

    Non ci saremmo aspettati la storia di un ricco medico esperto di psicoanalisi e di cultura occidentale, fra le pagine di questo scrittore giapponese, difensore estremo, sino all’ultimo, della tradizione e della cultura imperiale nipponica.



    Il fiore per eccellenza è il ciliegio;

    l’uomo per eccellenza è il guerriero



    Eppure non stupisce più di tanto!

    Yukio Mishima è lo pseudonimo di Hiraoka Kimitake: ” l’uomo che porta a risorgere felicemente il Giappone”, questa è la traduzione di quello pseudonimo. Al di là del tentativo “eroico” ed estremo sino all’auto annientamento, di strenua difesa dell’antica tradizione e del prestigio imperiale, la scrittura di questo autore giapponese è ricca di commistione fra elementi della cultura dell’odiato occidente e la cultura classica nipponica. Non a caso la rivista Life, lo definisce negli anni 60, l’Hemingway giapponese, candidandolo addirittura al Premio Nobel della letteratura (primo scrittore del “sol levante” ad ambire a tale riconoscimento). Mentre l’indole guerriera associata all’azionismo combattente, ne fanno il D’Annunzio d’oriente.

    Ma torniamo al libro.



    MUSICA

    Un interpretazione psicoanalitica di un caso di frigidità



    “Se dovessi dire qual è il paziente che negli ultimi cinque anni mi ha lasciato l’impressione più profonda, non posso fare a meno di mettere al primo posto Yumikawa Reiko.”

    Bella ragazza questa Reiko di 25 anni: la sua anima profondamente ferita è al centro dell’indagine psicoanalitica di Shiomi.

    “Credo di essere abituato a non meravigliarmi di fronte a nulla, ma più procedo in questo lavoro e più ho la sensazione che il mondo della sessualità umana è infinito e complesso. Nel mondo del sesso non c’è una unica felicità per tutti.”



    Il romanzo traccia “i confini dell’anima” di ReiKo, protagonista e vittima quasi del tutto incolpevole, dei lati più oscuri e più sconvolgenti del sesso; senza mai cadere in volgarità.



    “…ciò che mi colpì subito fu la sua bellezza…e in contrasto con il soprabito vermiglio, il suo trucco era semplice: si capiva che doveva essere molto sicura della sua naturale bellezza. Chi sceglie colori che attirano con prepotenza l’attenzione altrui intende sempre inviare un segnale psicologico…”



    “Questa estate ho cominciato a soffrire di inappetenza…poi nausea…sarò mica incinta….”



    Il problema è però un altro.



    …non sento la musica…



    “Dottore, perché non sento la musica? Ad esempio ascoltando la radio, appena inizia una musica in sottofondo, come se calasse all’improvviso il silenzio”

    “Sono nata in una famiglia per bene, ho sempre mantenuto una condotta decorosa…ho avuto qualche ragazzo, ma ho sempre rispettato una rigida condotta morale.Tuttavia dopo aver conosciuto il signor Egami ho cominciato a pensare al matrimonio…ma più mi innamoravo di lui, più avevo paura di sposarlo…”



    Alla base di tutte le difficoltà, la paura che venga fuori una penosa verità:



    “…quando ero piccola l’odiato fidanzato (nonché cugino di Reiko e suo futuro sposo, così come deciso dalla famiglia) mi ha violentato…pensavo che sarebbe stato meglio morire piuttosto che Egami (l’attuale fidanzato) venisse a conoscenza di questa cosa dopo sposati.Poi lui, senza aver mai accennato al matrimonio, mi ha chiesto di fare l’amore…dopo averci tanto pensato e sofferto, alla fine mi sono arresa…si sarà certamente accorto che non ero più vergine, ma non ha detto nulla e questo ha ferito ancor di più il mio orgoglio…”



    Ciò di cui non si parla pur sentendone la presenza o ciò su cui non si fa chiarezza, rimanendo sotto sotto ai pensieri, conduce presto a logorare qualsiasi rapporto …

    “…ho continuato questo rapporto per un anno senza chiarire …poi sono iniziati i sintomi”.

    L’anima di Reiko è turbata e malata.

    “Facendo l’amore con il signor Egami non ho mai provato nulla anche se è proprio il mio tipo….da qualche parte ho letto che quando la donna non prova nulla, l’uomo, ferito nel suo orgoglio, finisce per odiarla. Lo amo alla follia e nonostante ciò, il mio amore non riesce a manifestarsi come dovrebbe.”

    Reiko è consapevole che tutti i problemi fisici che la affliggono, nascono proprio da questa tensione psichica profonda. Il non sentire la musica è chiaramente metafora della incapacità a cogliere l’estasi sessuale.



    “Dottore mi scusi sono bugie. Io sono una donna che non sa far altro che mentire.”



    Ragazza bugiarda che non raramente si prende gioco del medico a cui si è rivolta per chiedere aiuto e a cui lo stesso medico riserva una attenzione del tutto particolare: insomma un transfert e controtransfert che rischia per il dottor Shiomi di diventare qualcosa di più importante del semplice rapporto medico e paziente.

    “…i pazienti dicono tutti bugie. E’ perché soffrono per le loro bugie che vengono qui. Più le bugie sono raffinate, più la malattia è grave.”

    Nella storia di Reiko, nel suo passato di adolescente e bambina, vi sono episodi significativi che lo psicanalista inizia pian piano a ricostruire; l’impressione è, però, che sia sempre e solo la povera Reiko a tenere i tempi e a gestire la situazione.

    Elementi simbolici, come forbici e tori, ritornano spesso nelle descrizioni imbarazzate e disperate di Reiko e nelle ricostruzioni frutto delle “libere associazioni” che Shiomi utilizza per studiare la donna.



    Uno dei principali problemi che si pone un terapeuta di fronte ad un paziente con sintomi psichiatrici, è verificare quanto davvero quel paziente voglia guarire dai propri problemi. Talvolta non è sufficiente presentarsi in un studio medico per manifestare davvero questa volontà di guarigione. Nelle circostanze in cui tale reale volontà manca, è nelle pieghe dell’anima la spiegazione di questa incapacità.

    “…il suo tic e gli altri sintomi sono prodotti dal conflitto diretto tra la sua coscienza e il suo desiderio ostinato di non guarire dalla frigidità.Quando è venuta la prima volta, lei mi ha parlato di uno strano sintomo…e dopo mi ha detto che era una bugia e che era semplicemente una perifrasi della frigidità, vero?”



    “Devo dirle tutto…”



    Capita spesso di sentir questo tipo di frase da questo genere di pazienti, anche dopo lunghi periodi di terapia.

    Ma questa volta Reiko vuol davvero aggiungere un anello determinante alla sua storia e inizia a parlare del fratello maggiore…



    “Reiko e il fratello andavano davvero d’accordo e lei gli era morbosamente legata.Quando era al terzo anno delle elementari, una notte si infilò nel letto del fratello e si addormentò. Il fratello le sfiorò con la dita la piccola conchiglia rosa e le insegnò che attraverso quella conchiglia si sentiva la voce lontana del mare….Ti insegnerò una bella cosa. Non devi dirla a nessuno….la portò nel vortice di una sensazione che Reiko non aveva mai provato, una sensazione che la stordiva….”



    La bambina disperata ed estasiata, si legò ancor di più a quel fratello sciagurato; “quel gioco” stordente, non fu però, mai più ripetuto e la piccola mai aveva avuto il coraggio di richiederlo; anzi aveva dovuto subire lo spettacolo triste, del fratello che entrava nel letto della zia e poi, addirittura, la fuga stessa e la scomparsa di quel balordo.



    “Più Reiko cresceva e più nel suo cuore non restava spazio che per l’amore e l’odio per il fratello scomparso.”

    E quando, cresciuta, aveva conosciuto Egami aveva combattuto fra due pensieri enormi:

    “…da un lato la grandissima irreale speranza che se Egami era come mio fratello, avrei di nuovo provato quella forte e dolce sensazione che dominava tutta la mia vita e dall’altro la paura che, se era come mio fratello, ci avrebbero proibito di dormire insieme e non avrei dovuto mai provare una sensazione di gioia con lui.”



    Ecco, nell’anima di Reiko, quale musica è restata impressa! La musica percepita in quella notte, quando bambina, il fratello le aveva chiesto di non aprire gli occhi e di non riferire ad alcuno di quelle cose. L’anima di una bambina catapultata in un vortice di inconfessabili emozioni e paure, che per sempre l’avevano segnata e provata.



    Nei mesi successivi Reiko avrebbe ascoltato quella “strana musica” ancora.

    Quando aveva dovuto assistere il cugino “promesso sposo” morente e quando, scappato via Egami, aveva incontrato un altro giovane, Hanai.



    “Non ti preoccupare. Anche io sono come te.”



    Hanai è impotente. Reiko in questa circostanza può ascoltare la sua musica….

    “Tu sei un vero uomo. Perché gli uomini non hanno la tua stessa eleganza e dignità? Qualsiasi uomo, per quanto affascinante possa essere, è reso ridicolo dal desiderio sessuale.”



    Quel giovane, appartenente ad una ricca famiglia, apparentemente fortunato, sperimentava con Reiko una “vera e propria catastrofe sessuale”: con la propria impotenza aveva guarito la frigidità della ragazza!



    Ma non era chiaramente guarita, anzi! Il sentire quella “musica” in condizioni tanto svilenti e drammatiche, aumentava la sofferenza “interna” di Reiko.



    L’immagine simbolica delle forbici, ritorna quando, sentendosi inseguita, fugge e ritrova Egami.



    Non è sempre facile per il terapeuta districarsi nei labirinti cavernosi di una psiche malata: la matassa che il dottor Shiomi deve sciogliere, richiederebbe la collaborazione più completa della sua paziente; Reiko, invece, continua con le solite bugie.



    Reiko continua ancora a fuggire: fugge perché “è inseguita dalle forbici” e dal suo passato, ma fugge ancora dalle immagini del presente: il fratello maggiore, ritrovato nel quartiere più malfamato di Tokio, alle prese con una “disgraziata” peggio di lui; una poveraccia che, spinta sul marciapiede, lo fa campare e che, avendolo colto in compagnia di quella ragazza così diversa da lei, in un impeto di nevrotica gelosia, lo induce, per un gioco perverso ed infernale, a dare libero sfogo, ancora una volta, all’impeto incestuoso.

    Per Reiko è comunque ancora musica.

    “Lei nella sua vita non ha fatto altro che distruggere e autodistruggersi nella vana ricerca sessuale. E in questo processo inarrestabile aveva mostrato di essere dotata di un potere misterioso, il potere di tramutare la bruttezza, l’oscenità in pura sacralità.”

    Per fortuna c’è Egami e c’è Shiomi: il ragazzo che le vuole bene e il medico che, adesso, vuole solo farla guarire da tutti quei problemi.

    Diventare normale

    Reiko potrà riascoltare la “musica”, potrà diventare una donna normale ed amare in modo normale, ad una condizione: metterla di nuovo di fronte a quel depravato, ma questa volta non da sola.

    Al suo fianco ci saranno il medico e la sua infermiera, nonché il fidanzato.

    Lo ritroveranno quel fratello scellerato e basterà non molto per far cambiare tutto: l’amore sconfinato per quel fratello può cessare solo di fronte ad una prova concreta.



    “…il più grande desiderio di Reiko, il desiderio che non era riuscita a confessarmi …era partorire un bambino dal fratello…”

    “La causa della sua frigidità era proprio lì, nella preoccupazione di partorire il bambino di un altro uomo e non di suo fratello.Una frigidità causata dalla paura di restare incinta.”



    Ritrovano il fratello e la sua compagna e, questa volta, anche un figlio, frutto della relazione fra i due.



    “Reiko ora capiva che la frigidità con cui aveva difeso fino allora la sua purezza e quella del fratello, sopportando sofferenze fisiche e spirituali, era stata uno sforzo del tutto inutile…Non c’era più bisogno che lei partorisse il bambino di suo fratello, quel bambino era già lì, il bambino di una prostituta che neanche conosceva.”


    “Un medico coscienzioso deve morire con il malato se non possono guarire insieme”
    Ionesco



    Antonello D'Attoma

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  20. Battito del cuore come chiave musicale di uno strumento difficilissimo anche solo da ascoltare: l'amore. Questo in estrema sintesi il motivo dominante del romanzo di Vikram Seth, scrittore indiano contemporaneo che vive da sempre in Occidente e che del nostro mondo conosce bene le contraddizioni, soprattutto lo sviluppo incompleto delle relazioni umane private del tempo e della dimensione affettiva di cui necessitano per fare dell'uomo una persona completa con le sue grandezze e le sue fragilità.
    La musica accompagna le pagine del racconto: musica come passione e dedizione, impegno e sacrificio, elemento di unione fra i membri di un noto quartetto d'archi, e punto di frattura tra quegli stessi amici nel momento in cui la vita chiede strade diverse. Musica come amore assoluto di Michael, il protagonista del racconto e musica dell'amore assoluto di un uomo per un'unica creatura lasciata in un tempo di incertezze, cercata inutilmente e insperabilmente ritrovata.
    Non so in verità quali suggestioni possa trovare in questo libro chi non capisca assolutamente nulla di musica classica e non abbia mai avuto neppure una piccola esperienza "d'ensemble" al di là di una trama comunque ben condotta e per nulla scontata - senza bisogno di espedienti narrativi da botteghino o effetti speciali degni delle fantasie sfrenate di certe narratrici di letteratura rosa.
    C'è infatti un'insistenza sulle questioni anche più squisitamente tecniche attorno a spartiti e strumenti davvero - temo - poco comprensibili (o magari solo apprezzabili) ai profani e questo è un limite narrativo superabile ma indubbio.

    L'azione ha quattro movimenti principali (proprio come una sinfonia) attorno a cui la vicenda umana e professionale di Michael si snoda: innanzitutto i concerti cui il quartetto si prepara per tempo e con tutte le difficoltà di programmi noti ma insidiosi per le paure che ciascuno si porta dentro. L'attesa dell'apprezzamento del pubblico, la consapevolezza di un mestiere poco capito e poco considerato, le schizofrenie personali di fonte a cambiamenti dell'ultima ora e la vita privata che coinvolge ciascuno, sono dipinti in quadri estremamente realistici dentro un'Inghilterra contemporanea grigia e avara di relazioni umane.
    All'improvviso, l'insperato ritrovamento dell'unico amore di Michael, che tuttavia sembra sfuggirgli misteriosamente, muta le prospettive dell'intera vicenda: Michael ha lasciato Julia dieci anni prima, a Vienna dove entrambi studiavano (lui violino e lei pianoforte), incapace di comprendere una grande lezione: quella dell'accettazione del proprio limite umano sia come violinista che come uomo. Anche se a dividerli sono ben più che dieci anni, Michael e Julia si ritrovano e rivivono una stagione del cuore più matura, forse, ma anche più tormentata: la donna, oltre che sposa e madre, è anche malata del peggior male per un musicista, la sordità e questo genera un rapporto con la malattia che è causa - quasi sempre - di enormi difficoltà comunicative, di equivoci, di rifiuti.
    Tra concerti, prove e discussioni infinite fra i concertisti sull'accordatura di strumenti perché sembrino altro e possano sostenere comunque il peso di un'esecuzione perfetta, tra gli equilibri che il ritrovato amore inevitabilmente incrina, tra momenti di estasi e la realtà imprescindibile di una vita che non è come l'avrebbero voluta, i due amanti prendono lentamente l'aspetto di un assolo nel racconto, debordando in un leggero sovrappiù narrativo che fino a quel momento aveva attinto spessore anche dalle figure di contorno comunque significative e importanti.
    Venezia fa da sfondo beffardo a una breve avventura che chiarisce a Michael e Julia il proprio destino, nella musica certo, e nella vita. Scompaiono amici, familiari, vecchie occupazioni: le grandi svolte richiedono il coraggio di un nuovo inizio, che solo apparentemente sembra vuoto di prospettive.
    L'amore infatti non muore mai, è quella musica costante che tiene vivi nonostante difficoltà, separazioni, incontri e inevitabili addii. Michael ha finalmente imparato la lezione: la vita alle volte è una sinfonia di grande impegno esecutivo, ma che val la pena suonare fino all'ultima nota, fino al calare dell'ultimo sipario.
    Vkram Seth è un amante della musica classica anche nella realtà ("La musica mi è più cara perfino delle parole" dice in una nota posta alla fine del romanzo) e oso immaginare che tra i suoi autori preferiti ci sia Bach, che compendia in sé una specie di perfezione superiore, non avendo potuto - per ragioni anagrafiche - ascoltare ed eseguire i grandi che gli succedettero, ma avendo posto da solo le basi per tutto ciò che sarebbe seguito. Imprescindibile se non proprio l'ascolto dell'Arte della fuga - protagonista delle vicende che legano Michael e Julia - , almeno qualche pezzo noto: consiglierei i Concerti Brandeburghesi per facilità di ascolto e per un'introduzione alla scrittura per archi. Ma ci si può far male (o bene, a seconda dei gusti) con una vastissima produzione.

    Romanzo invece decisamente sconsigliato a chi ascolta solo rock duro e ai fan del lieto fine a tutti i costi.

    Seth, Vikram. Una musica costante. Milano, Longanesi, 1999.
    Tea Due lo ha ristampato quest'anno e costa 8 euro.

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  21. Come l'acqua per il cioccolato (Dolce come il cioccolato - Laura Esquivel)

    Nome dooyoo: antelvis

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    Prodotto: Dolce come il cioccolato - Laura Esquivel
    Data: 17/05/01 (1003 letture)
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    Svantaggi: -

    "Benché nasciamo con una scatola di cerini dentro di noi, non possiamo accenderli da soli; abbiamo bisogno di ossigeno e dell'aiuto di una candela.

    L'ossigeno deve provenire, per esempio, dal fiato della persona amata; la candela può essere un tipo qualsiasi di cibo, di musica, di amore, di parola o di suono che faccia scattare il detonatore che è in noi.

    Ogni individuo deve scoprire quali sono i detonatori che lo fanno vivere, poiché è la combustione che si produce quando uno di essi si accende a nutrire di energia l'anima.

    Se non scopriamo in tempo quali sono i nostri detonatori, la scatola di cerini si inumidisce e non potremo mai più accendere un solo fiammifero".



    Era un bel po' che non leggevo un buon libro (forse dovrei cominciare a seguire i consigli di Adso...), ma finalmente mi sono imbattuta in "Come l'acqua per il cioccolato". "Como agua para chocolade", infatti, è il titolo originale di questo romanzo del 1989 (da cui Alfonso Arau, marito della scrittrice, ha tratto l'omonimo film) e, come spesso accade, è assai più significativo del titolo posticcio derivato dalla traduzione ("Dolce come il cioccolato"). Nel testo, infatti, si racconta come la protagonista, Tita, "si sentiva letteramente ribollire di rabbia, come l'acqua per la cioccolata (in Messico la cioccolata spesso si prepara stemperando il cioccolato nell'acqua bollente, n.d.t.)". Il titolo originale, dunque, pur evocando la dolcezza del cioccolato, in realtà si riferisce a un sentimento ben diverso, che caratterizza tutta la vicenda narrata.

    Ancora più indicativo sul contenuto del libro è il simpatico sottotitolo: "Romanzo a puntate mensili con ricette, amori e rimedi casalinghi". La struttura del testo, infatti, è formata da dodici capitoli, ciascuno intitolato a un mese dell'anno, in cui - a partire da una ricetta tipica dell'antica cucina messicana - viene raccontata, con la capacità affabulatoria e con un "pizzico" di realismo magico tipici della letteratura latino-americana, la vicenda del grande amore tra Pedro Muzquiz e Tita de la Garza.

    Fin dal primo episodio appare evidente l'insolubile intreccio tra la cucina e la vicenda narrata: si tratta della nascita della protagonista (Tita), messa al mondo da sua madre in un vero e proprio fiume di lacrime, formatosi in seguito al pianto (sia della madre che della figlia) causato dalle cipolle che stava pelando al momento delle doglie.

    Siamo in Messico, nella piccola città di Piedras Negras, sulla sponda messicana del Rio Grande, di fronte al Texas, nei primi anni del '900. Sullo sfondo della vicenda principale, si stanno svolgendo i combattimenti del popolo messicano, guidato da Pancho Villa, nella rivoluzione contro il dittatore José Porgirio Diaz.

    Un'antica quanto crudele tradizione obbliga la figlia minore di ogni famiglia a non sposarsi e a dedicare la propria vita ad assistere la propria madre fino alla morte. Ed è proprio per questo che a Tita verrà impedito di sposare il suo grande amore, che - per rimanerle vicino - sceglierà di sposarne la sorella maggiore.

    Da questa convivenza forzata e dalla repressione di tutti i sentimenti di amore e libertà della protagonista, ecco scaturire la preparazione di piatti dai sapori straordinari e - a seconda dei sentimenti provati durante la loro preparazione - dai poteri quasi magici. Ed ecco che la torta "chabela" per il matrimonio tra la sorella e Pedro - preparata da Tita tra le lacrime per l'amore perduto e l'affronto subito - ha il potere di far sorgere una profonda e inspiegabile tristezza in tutti gli invitati; le quaglie ai petali di rose - preparate con delle rose regalatele da Pedro e bagnate dalle gocce del suo sangue appassionato provocato dalle spine - hanno il potere di scatenare in tutti i commensali una frenesia d'amore tale da far scaturire il fuoco dalla loro pelle e da consentire all'altra sorella di Tita di fuggire via di casa nuda, liberandosi dall'oppressione della madre e trovando amore e realizzazione nelle schiere dei rivoluzionari.

    Questa commistione tra amore e cibo non è certo nuova per la narrativa latino-americana: basta pensare al bellissimo romanzo di Jorge Amado "Donna Flor e i suoi due mariti", o ad "Afrodita" di Isabel Allende.

    In questo libro, però, il cibo diventa lo strumento di un vero e proprio incantesimo d'amore, grazie al quale Tita riesce a trasmettere a Pedro e a tutti i commensali - nell'unico modo che le è consentito - i suoi sentimenti, privati del diritto di esistere, con una forza che va anche al di là delle sue stesse intenzioni.

    Il romanzo, permeato da un forte senso del magico e del fantastico, è davvero godibile, anche se Laura Esquivel (della quale questa è l'opera prima) non raggiunge l'abilità narrativa dei suoi illustri predecessori (Marquez, Amado, Allende).

    Non voglio anticipare il finale, che ho trovato veramente "gustoso".

    Merita, invece, di essere riportata la frase che precede il romanzo, a mo' di dedica: "A tavola e nell'alcova si invita una volta sola".

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  22. This is my answer to the question 'Why does man look for love, happiness, tranquillity?'

    Everybody wants to be loved, everybody wants to be happy. But though everyone knows what it is love and happiness, nobody knows the way to reach them. First of all we could say that men initially look for love and happiness and later men look for tranquillity and peace. Otherwise it could be said that love and tranquillity are both means to reach happiness. It is obvious that we don't look only for happiness: mankind is also fond of war, power, glory...but felicity is surely the ultimate wish, the more precious treasure we could ever desire. But who knows the formula? Many people refuse to answer, other fatally fall in artificial pleasures given by drugs. But is happiness a mere secretion of hormones? The Italian poet Leopardi thought men would never be totally happy because their desire is infinite and so enormous that it can't be satisfied. On the contrary antique Greek and Buddhist have taught us that we must abandon every desire of pleasure if we want to become glad and gain a state of grace. The glittering eyed mariner of Coleridge's 'Rime' at the end of the ballad he is bitten by remorse and has no chance to find serenity again. Then he travels and tells his story to a young lad in order to prevent other damage. The mariner says that our behaviour must be respectful towards every living being. Death will heal his wound and convey peace. The soul of the mariner will find tranquillity when he'll die. And maybe happiness. The character of this sailor teaches that it is possible that one can feel desperate and love the whole Nature at the same time. As far as Frankenstein's creature is concerned, it has travelled all around the world and didn't find his 'father' affection nor society's communion. When its frustration became unbearable, its fury exploded and made him kill and destroy Dr. Frankenstein life. And then the creature plunged into icy water in order to find peace and rest. Even in this case death brings serenity and has a curative role. Concluding we could say there are two ways to reach felicity: an active one and a passive one. The active one consists in extending our love to as much as possible. The passive way consists in leaving every hope of pleasure, desire and salvation. Each path is hard to endure and will require every energy a man can provide. Which one will you choose?

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  23. Nathaniel Hawthorne describes the forbidden love between Hester Prynne and Reverend Arthur Dimmesdale, harshly punished by puritan law. Hester is jailed, but during the detention she’s found strength to bear people’s glance through the love she feels for the newborn baby. Here the heroine his enforced by the prohibited love with the Reverend. Even if she has transgressed the moral bounds of her society, Hester is totally absorbed by her creature and it seems that she is aware that the love of a mother for her baby beats every social convention. So she doesn’t feel shameful at all, but challenges the crowd proudly.

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  24. CAVALIERE D'INVERNO (The Bronze Horseman) di Paullina Simons


    Titolo originale: The Bronze Horseman

    Anno di pubblicazione negli USA: 2000

    Edito in Italia da: Sonzogno

    Ambientazione: Unione Sovietica, durante la seconda guerra mondiale.

    E’ il primo libro diuna trilogia così composta:

    1- The bronze horseman ( Il cavaliere d’inverno);

    2- Tatiana and Alexander ( Tatiana e Alexander);

    3- The summer garden ( inedito in Italia)

    Leningrado, 1941.Durante il regime staliniano Tatiana Metanov vive, come la maggior parte dei russi, in una situazione di grande povertà, dividendo due stanze con la numerosa famiglia.Nonostante la giovane età ( 17 anni) nella sua vita ha conosciuto pochissime gioie e molte privazioni, fino a quando, in uno dei rari momenti di svago, conosce Alexander, un ufficiale dell’Armata Rossa, col quale è letteralmente colpo di fulmine ancora prima di conoscersi! Purtroppo i suoi sogni di felicità sono destinati a infrangersi subito:presto scopre che Alexander è il misterioso ragazzo di sua sorella Dasha.I due giovani nonostante l’evidente attrazione decidono tacitamente di troncare questo legame ancor prima di nascere,perché è evidente che causerebbe troppa sofferenza,e Tatiana non accetterebbe mai di causare un così grande dolore alla sua amatissima sorella.Oltretutto sembra proprio che non ci sia tempo per l’amore:Hitler invade la Russia , il Paese entra in guerra e le cose peggiorano notevolmente:il fratello di Tania e Dasha come molti giovani viene mandato al fronte e presto dato per morto,Tania comincia a lavorare duramente come operaia, la povertà aumenta sempre più….Nonostante ciò, e nonostante i buoni propositi, il legame tra Tania e Alexander aumenta d’intensità ogni giorno di più: i due si amano di un amore autentico e profondo, che nonostante le difficoltà ( oltre alla sorella Dasha e alla guerra, le meschine manovrazioni di Dimitri, un falso amico di Alexander attratto da Tania)non cessa di esistere e si rafforza, anche se i due innamorati sono sempre più decisi a negarsi ogni possibilità di felicità per rispetto a Dasha; si accontentano di qualche momento rubato e del sentimento in sé.Poi anche Alexander viene richiamato al fronte, e quasi contemporaneamente arriva il terribile inverno russo:ormai il Paese è allo sbando e il freddo e la povertà decimano la popolazione.Tra le vittime l’intera famiglia di Tatiana, compresa Dasha. Distrutta dal dolore, Tania trova rifugio presso alcuni parenti a Lazarevo, un paesino immerso nei boschi, una piccola oasi dove la guerra non è arrivata;qui la raggiunge Alexander,che mandato in licenza ha saputo ciò che è accaduto, e ora che più nessun ostacolo si frappone tra loro, si lasciano finalmente andare vivendo il loro amore alla luce del sole, sposandosi e passando un breve periodo idilliaco di felicità assoluta.

    Ma purtroppo la guerra continua ,e le difficoltà dei due innamorati sono appena iniziate.

    Quando ho letto la prima volta il romanzo di Paullina Simmons era l’ottobre del 2001, un’amica me l’aveva regalato per il compleanno.Leggendo la trama ero piuttosto scettica:in genere le storie ambientate in Russia non mi piacciono molto,per non parlare delle storie dove due sorelle si contendono lo stesso uomo;e invece, dopo aver cominciato…non sono più riuscita a smettere, finendolo in tre giorni!

    Che dire di questo libro?Stupendo, forte, dolce, intenso, duro…praticamente perfetto;comunque sia, ogni aggettivo è piuttosto riduttivo per un libro che narra con uno stile magistrale, non solo una bellissima storia d’amore, ma anche un grande affresco storico sulla Russia staliniana durante la seconda guerra mondiale.

    Sin dall’inizio la storia di Tania e Shura colpisce soprattutto per la tenerezza e la forza con cui il sentimento nasce e cresce piano piano nonostante le avversità:i segreti del presente e del passato, la crudeltà e la precarietà della guerra…I due innamorati nutrono il loro amore di piccoli momenti preziosi rubati ad avverse circostanze:una passeggiata al Giardino d’Estate, una sera passata alla cattedrale di S.Isacco, gli incontri serali di qualche minuto fuori dalla fabbrica dove lavora Tania. E anche quando, dopo immani vicissitudini, possono assaporare la gioia di stare insieme liberamente, tutto ciò non viene mai meno.Assistiamo alla loro gioia quotidiana paragonandola alla crudezza e violenza della guerra, sentendo che è solo un breve interludio, e tuttavia rallegrandoci per ogni piccola gioia da loro provata.Io personalmente trovo che sia bellissimo poter leggere di un amore in questo modo, attraverso le piccole cose quotidiane.

    Ma come detto non c’è solo la storia d’amore, ma anche la Storia con la S maiuscola, quella che travolge con prepotenza le vite quotidiane dei personaggi.In questo romanzo la ricostruzione storica è impeccabile, soprattutto la parte centrale in cui si narra del terribile inverno russo che insieme alla guerra fece milioni di morti: impossibile rimanere indifferenti di fronte a una tragedia così immane leggendo delle estenuanti e spesso inutili code per procurarsi qualche grammo di pane in più ( a prezzi stratosferici), dei salti mortali per cercare di vivere giorno per giorno con un minimo di dignità, dei morti abbandonati in sacchi per strada o buttati nei laghi o fiumi per mancanza di posto nei cimiteri.

    Altro pregio del libro è il trattamento riservato ai personaggi secondari:nessuno è un semplice contorno, ognuno di loro contribuisce alla storia anche con gesti e parole che fanno in modo che rimangano impressi in modo indelebile nel lettore.

    In conclusione, un libro unico e completo , davvero da non perdere!

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  25. sabato 8 marzo 2008
    Incontro d'amore in un paese in guerra - Luis Sepulveda




    Di nuovo le sue pagine sotto i miei occhi.
    Sanguigno, carnale, vero, lirico, deciso, testardo, autentico.
    Sepulveda anche in questo libro di racconti non si smentisce.
    Tanti personaggi, tante storie. Un affresco fatto di amore e guerra, di rimpianti e attese, di ironia e silenzio, di caso e destino. Luci ed ombre, colori e grigio, che il caro scrittore cileno mette su carta come fosse la cosa più semplice del mondo.
    I racconti che ho apprezzato di più (in tutto sono ventiquattro): "Voglio parlarti di Pilar Solorzano", "Storia d'amore senza parole", "Lassù qualcuno aspetta delle gardenie", "Modi di veder il mare", "Un uomo che vendeva dolciumi nel parco", "Segreteria telefonica", "Quando non hai un posto dove piangere" e "Un'altra porta nel cielo".
    Non starò qui a dilungarmi su ogni racconto. Vi riporto solo quello che forse più di tutti ho amato, e spero che lo leggiate con in sottofondo la pioggia, proprio come ora piove qui da me (ininterrottamente da giovedì scorso capperi!!)


    VIENI, VOGLIO PARLARTI DI PILAR SOLORZANO

    Il volume mi aspettava in un angolo di una piccola libreria antiquaria, a Praga. Quella era l'ultima mattina che trascorrevo nella città in cui ero andato per partecipare a un omaggio a Jaroslav Seifert, e siccome l'opera di Seifert non si trova né negli studi né nei discorsi celebrativi, decisi di dedicare quelle ultime ore a vagabondare nei pressi di San Venceslao, senza meta, divagando sull'origine di quelle stradine strette che a volte sembrano create dai desideri del poeta.
    Faceva un freddo che ti costringeva a camminare ripiegato su te stesso, con le mani in tasca, e a cercare un po' di calore nei minuscoli negozi di artigianato e antiquariato.
    Il libro mi aspettava in una vetrina, e il suo primo segnale fu di saltarmi agli occhi nella mia stessa lingua. Non è frequente trovare volumi in spagnolo nei paesi dell'Est europeo, tantomeno nelle librerie di seconda mano.
    Era un volume sottile, rilegato in tela scarlatta, con la copertina ornata da un rigo dorato, in parte sbiadito, che incorniciava due filigrane, anch'esse dorate, le quali concludevano le loro capricciose volute tracciando cardi e altri fiori che ricordavano i dipinti di Hieronymus Bosch. Nella parte inferiore della copertina, tra le filigrane, c'era un'ellissi orizzontale con la scritta: «Biblioteca scelta per la gioventù.» Al centro, in una specie di pergamena dispiegata a metà, era impresso il titolo, Storia della macchina a vapore, e sotto dei caratteri massicci indicavano il nome della casa editrice: Fratelli Garnier, Parigi.
    Credo di non essere un cinico, ma so che mi è toccato vivere in un'epoca che considera l'ingenuità una causa persa, e il caso viene presentato come un succedaneo della volontà. Tutto appare programmato in anticipo e lentamente perdiamo la capacità di lasciarci stupire, di ammettere che l'insolito è possibile. I miei progetti, quella mattina, contemplavano una passeggiata per Praga, in cerca dei versi di Seifert, poi sarei andato all'aeroporto, e la sera avrei cenato con alcuni amici a Barcellona. Ma il libro con la copertina scarlatta racchiudeva un richiamo e, ignorando il carattere dell'epoca, spinsi la porta della libreria.
    Il delicato tintinnio di una serie di bastoncini metallici annunciò il mio ingresso. Il negozio era stretto e fiocamente illuminato. C'era odore di chiuso, di gatti che orinavano su secoli di erudizione e mistero, di carta, di polvere, di tempo depositato sugli scaffali. Da una porta sul fondo, forse dell'abitazione, comparve un anziano tutto infagottato.
    Gli comunicai in tedesco il mio desiderio di esaminare il libro della vetrina, e quando glielo indicai, il vecchio sorrise prima di rivolgersi a me in uno spagnolo dall'accento dolce e stranamente familiare, un accento altrettanto o più antico dei suoi libri: era un ebreo sefardita e appariva felice di poter parlare la sua lingua.
    «Ah. Il libro in spagnolo. Da quanti anni è nella vetrina!» disse consegnandomelo.
    Il retro della copertina era protetto da un foglio di carta ocra e il frontespizio aveva lo stesso colore. Quando vidi la calligrafia disinvolta della dedica, tratti che evidentemente non avevano cercato l'effetto sorpresa, capii che non avrei dovuto spingermi oltre nella lettura per comprendere il silenzioso richiamo che quel libro mi aveva lanciato dalla sua prigionia.
    Non posso spiegare con precisione cosa provai guardando quelle parole scritte con un inchiostro, forse azzurro, che ora si confondeva con il colore indefinito del foglio. O forse sì, ma solo in minima parte: provai compassione per un certo vecchio dalla barba rada, morto più di trent'anni prima, che avevo amato e a cui avevo tenuto compagnia in lontane sere cilene dal profondo silenzio.
    L'affollarsi dei ricordi dovette modellare sul mio volto un'espressione preoccupante, perché il libraio mi prese per un braccio, mi accompagnò a una sedia e mi offrì un bicchierino di liquore.
    «Pilar Solorzano è esistita», mi sentii mormorare.
    «Non ti affliggere. Tutto è possibile nei libri», spiegò il vecchio.
    Fui grato al libraio che capì il mio asfissiante bisogno di parlare e iniziai a farlo mentre rileggevo più volte la scritta: «Dedico questo libro a Genaro Blanco in omaggio ai suoi sogni e a tutto ciò che ci unisce. Pilar Solorzano, 15 agosto 1909.
    Genaro Blanco. Don Genaro. Si chiamava così un vecchio andaluso pieno di sogni che un giorno fu adottato come parente dalla mia famiglia. Mia madre racconta che si trovava al quinto mese di gravidanza quando lui era apparso nel salotto di casa con una sgangherata valigia di cartone e un ombrello nero, sostenuto per un braccio da mio nonno.
    «Questo è Genaro, mio compagno e fratello. Qualche settimana fa ha perso la sua compagna e crede di essere rimasto solo. Noi gli dimostreremo che, nella grande fratellanza degli uomini liberi, non si è mai soli. Sii il benvenuto, compagno. Dividi con noi il vino, il pane e l'affetto», pare che dicesse mio nonno, indicandogli il suo posto alla tavola della famiglia.
    «Auguro a tutti voi salute e anarchia», raccontano che rispose don Genaro, di modo che, quando quattro mesi dopo venni al mondo, ebbi due nonni spagnoli e uno cileno.
    Dal contenuto della sua valigia, pochissimi vestiti e molte carte che rileggeva pazientemente, i miei genitori scoprirono che, come mio nonno, era nemico di tutti i governi e che aveva girato il mondo prima di finire, pittoresco ed estemporaneo anarchico, nella rigorosa legalità della società cilena.
    So ben poco di lui perché morì quando avevo dodici anni e, di questi, gli ultimi li passò immerso in lunghi silenzi che la famiglia interpretò come normali momenti di tristezza di un avventuriero in pensione, o come attacchi di senilità niente affatto preoccupanti.
    Tutto ciò che ricordo è frammentario, e la memoria mi riporta con certezza solo una frase che gli sentii dire spesso quando, dall'orlo del suo abisso di silenzio, mi invitava a sedermi accanto a lui. «Vieni, voglio parlarti di Pilar Solorzano», ma non aggiungeva mai altro.
    Don Genaro visse fino a novantadue anni, e la sua rievocazione di Pilar Solorzano fu scambiata per il rimbambimento di un vecchio solitario, vedovo, che a volte confondeva i personaggi dei romanzi di Zamacois con quelli della vita reale. Dopo la morte di mio nonno, il suo gran compagno, don Genaro prese a sottrarsi alla tutela familiare per poi ricomparire ore dopo, scortato da due guardie. «Questo signore è venuto al palazzo della Moneda a insultare un certo Largo Caballero. Per favore, che non si ripeta, o ci vedremo costretti ad arrestarlo.» Don Genaro ascoltava a testa china i rimproveri della famiglia, beveva un sorso di anisetta e, invece delle attese scuse, tirava fuori il suo assioma morale: «Ogni potere corrompe.» Poi, contravvenendo alle indicazioni del medico, si accendeva un sigaro da quattro soldi, trascinava la sua sedia impagliata fino al metro quadrato di erbe medicinali che coltivava e chiamava il suo «giardino», e da lì si rivolgeva a me formulando l'invito sempre incompiuto: «Vieni, voglio parlarti di Pilar Solorzano.»
    Quel nome si trasformò in un divertente ritornello, in un luogo comune senza importanza. Per esempio, se mio padre o uno dei miei zii si faceva bello prima di uscire, gli chiedevano: «Hai appuntamento con Pilar Solorzano?» Oppure, quando qualcuno era distratto, si beccava immediatamente un: «Su, smettila di pensare a Pilar Solorzano.»
    Don Genaro era stato un uomo felice? Dai miei genitori e dai miei zii ho saputo che era stato uno sfortunato inventore di macchine. Quando le aveva finite, o erano già state inventate o non trovavano applicazione. Per questo, agli inizi del secolo, aveva viaggiato per le Filippine e il Centroamerica, cercando posti dove le sue invenzioni fossero apprezzate. Qualche volta era tornato anche in Spagna. Lì aveva conosciuto quella che sarebbe diventata sua moglie, una catalana che ho visto solo in fotografie dove la coppia compariva assieme ad altri miliziani della C.N.T. Non avevano avuto figli e la conclusione della guerra civile li aveva fatti finire a Trompeloup, vicino a Bordeaux. Nel 1939 erano riusciti a imbarcarsi sul Winnipeg assieme ad altri duemila sconfitti, e l'ultima cosa che avevano visto dell'Europa era stata la sagoma di Neruda che li salutava dal molo...
    «Non ti affliggere. È una storia bella e triste». disse il vecchio libraio.
    «Non so cosa pensare. È tutta una coincidenza senza senso? C'è stato un altro Genaro Blanco felice al fianco di un'altra Pilar Solorzano? Guardi nella pagina successiva, il timbro di colore viola che dice: Libreria E. Goubaud & Co., Guatemala. Forse, all'epoca, il Genaro Blanco che io ho conosciuto era in Centroamerica. Com'è strana e confusa tutta questa storia.»
    Il libraio mi guardò con aria comprensiva, come se tali incontri fossero perfettamente normali nel suo mondo di carta e di idee riordinate dal tempo. Prima di parlare si tolse gli occhiali e li pulì con la sciarpa.
    «Portati via il libro. Ti stava aspettando.»
    «Non le ho ancora chiesto il prezzo. Non so neppure se posso pagarlo.»
    «Portati via il libro. C'è racchiuso un dubbio lontano che aspetta di essere risolto. Se non te lo porti via, ti perseguiterà come un Golem. Ricorda che sono ebreo e so quello che dico. Il libro è tuo. Apparteneva a Genaro Blanco e tu sei stato la sua famiglia.»
    «Va bene. Accetto, ma solo a una condizione: non so come, ma cercherò Pilar Solorzano. Se scopro che è tutto un equivoco, glielo restituisco.»
    Allora il libraio mi lanciò un'occhiata colma di benevolenza, forse scusando la mia ignoranza riguardo all'inevitabile epilogo.
    Durante il volo per Barcellona non mollai il libro. Cercavo qualcosa di più della nuda dedica.
    L'autore si chiamava Elìas Zerolo e il volume era stato pubblicato dalla Libreria Spagnola dei Fratelli Garnier, Rue des Saints-Pères 6, Parigi. Sfogliandolo trovai un paragrafo che avrebbe potuto benissimo essere stato pronunciato da don Genaro quando rispolverava le sue idee libertarie: «...e vedrà che solo nel lavoro liberamente scelto si trova la soddisfazione, e che solo attraverso di esso si conquista la stima dell'umanità.»
    Quando atterrai a Barcellona, avevo ideato un minuzioso piano investigativo che iniziava dal telefonare a mia madre in Cile. Appena giunto in albergo la chiamai e, senza alludere al ritrovamento del libro, le chiesi se per caso qualche volta don Genaro le aveva detto in quali paesi era stato agli inizi del secolo.
    «Come faccio a ricordarmelo? Sai quanti anni sono passati dalla morte del vecchietto?»
    «Per favore. Prova. È molto importante per me.»
    «Le carte di don Genaro sono ancora qui in casa. Aveva vari passaporti, ma non so dove diavolo li abbiamo messi. Richiamami domani e nel frattempo li cercherò.»
    «No, mamma. Devi farlo adesso.»
    «Che calvario. Va bene. Chiamami fra un paio d'ore.»
    Per fortuna mia madre scovò i documenti, e così riuscii a sapere che, tra il 1907 e il 1909, don Genaro aveva vissuto a Oviedo. In mezzo alle carte trovò varie lettere di imprese minerarie nelle quali venivano rifiutate le sue invenzioni. E un passaporto che indicava la sua partenza da Santander, e dalla Spagna, nel 1910.
    Passai una lunga notte insonne e, quando riuscii a dormire un po', feci un sogno che mi rese quasi felice. Vedevo don Genaro, mio nonno e il vecchio libraio di Praga. Bevevano liquore e chiacchieravano come se fossero vecchi amici. All'improvviso don Genaro mi chiamò: «Vieni, voglio parlarti di Pilar Solorzano», ma le prime luci dell'alba si portarono via di nuovo il suo segreto.
    Al tramonto del giorno successivo il treno mi lasciò nella capitale delle Asturie. Cercai un albergo nelle vicinanze della Jirafa, chiesi che mi portassero in camera un elenco del telefono e annotai tutti i numeri dei Solorzano. Per fortuna ce n'erano solo una ventina e iniziai a chiamare.
    «Scusi se disturbo, ma ho urgente bisogno di notizie su una signora di nome Pilar Solorzano che nel 1909 visitò il Guatemala. So che sembra strano, ma le ripeto, si tratta di una questione urgente.»
    Le prime quindici telefonate non trovarono altra eco che la sorpresa o frasi evasive. Forse mi ero espresso male, forse avrei dovuto inventare che stavo cercando degli eredi, insomma, qualche scusa plausibile. Pieno di dubbi, composi il numero successivo, e una voce di donna mi fece sudare per l'emozione.
    «Questa è la casa della signora Solorzano, ma lei non c'è. No. Si è trasferita in una residenza per anziani. Il problema è che è sola e non è più autonoma. No. Non si chiama Pilar. Aveva una sorella, sì, aspetti un momento. José, ti ricordi il nome della sorella della signora? Ne sei sicuro? Pronto? Sì. La sorella si chiamava Pilar. Sì, se vuol venire... Domani? È che durante il giorno non ci siamo. Se non le dà fastidio il disordine, può venire adesso. Stiamo ristrutturando la casa. E sa come sono queste cose. L'abbiamo affittata solo da poco e c'è ancora un mucchio di roba della signora Solorzano. Va bene. La aspettiamo.»
    Il palazzone grigio era molto vicino alla stazione, e mi accolse una simpatica coppia impegnata nei lavori di restauro. Dopo esserci reciprocamente scusati, io per l'intrusione e loro per i bidoni di vernice che si vedevano da tutte le parti, confessai che non sapevo bene cosa facevo lì, che ignoravo cosa stavo cercando, ma che per me era di vitale importanza trovare qualcosa, qualunque cosa, che mi avvicinasse a Pilar Solorzano.
    «Che ne dici, José? Non mi sembra uno svitato», disse la donna.
    «Perlomeno non ha l'aria pericolosa», dichiarò l'uomo.
    Mi lasciarono solo in una stanza piena zeppa di quadri, libri, lampade, arazzi e album fotografici.
    Non mi ci volle molto a trovare la prova dell'esistenza di Pilar Solorzano. Le ordinate fotografie di una vita solitaria mi mostrarono la lenta trasformazione di una donna che non aveva mai smesso di essere bella, vistosa, man mano che sfogliavo le pagine degli album, nell'incanutirsi della chioma curata e nelle macchie che le invadevano mani e volto.
    Ne aprii uno datato 1908-1911. Varie cartoline color seppia mostravano paesaggi tropicali, e in una foto riconobbi i tratti di don Genaro. Lui e Pilar erano assieme su una specie di torre di vedetta, forse una fortezza spagnola costruita per difendersi dai pirati. Lei portava un vestito lungo, probabilmente di cotone, molto leggero, perché il vento fermato nella fotografia lo spingeva da parte facendolo aderire a un corpo snello. L'uomo indossava un vestito forse bianco, forse di lino, sulla testa sfoggiava un panama, e si stringeva un libro contro il petto. Era lo stesso libro che in quel momento, ottant'anni dopo, mi rigonfiava una tasca della giacca.
    Staccai la foto sapendo già cosa avrei trovato. Dietro c'era una data: 15 agosto 1909.
    Ignoro quante ore rimasi in quella stanza a esaminare fotografie e lettere inviate dal Cile. In una di esse, datata 1949, don Genaro parlava della mia nascita con parole nelle quali riconobbi il tono che usava per spiegare le sue idee libertarie, o per chiamarmi fino all'orlo della sua offerta incompiuta. «Vieni, voglio parlarti di Pilar Solorzano.»
    «Se potesse vederlo, Pilar. Un piccolo essere che arriva a popolare l'universo. Strilla di continuo, indifeso e capriccioso, ma è capace di risvegliare anche nei più rudi il senso paterno che fa di tutti gli uomini una grande famiglia. Se potesse vederlo, Pilar...» Non volli continuare a leggere. Non potevo. Provavo vergogna a spiare quella segreta, quella segretissima intimità.
    Stavo salutando la coppia quando la donna ricordò l'esistenza di una scatola con documenti importanti che doveva portare alla signora Solorzano. In essa trovai il certificato di morte di Pilar. Era morta molti anni prima di don Genaro, e dalla data di nascita dedussi che aveva circa una quindicina di anni più di lui.
    Stringendo il libro entrai in un bar, e il calore del cognac mi riempì di domande: don Genaro aveva conosciuto i misteri dell'amore guidato da quella donna? Lei lo aveva seguito in Centroamerica? Avevano cercato di essere felici vicino ai Caraibi? Quando si era intromessa fra loro la lontananza? Avevano scoperto all'improvviso che la trappola degli anni sarebbe scattata senza misericordia sui giuramenti d'amore, sulla febbre della felicità che annebbia così fugacemente la meschina ragione? Prima di separarsi, avevano pronunciato le parole-smorfie «non ti dimenticherò mai?» O era stata la guerra civile la causa della loro separazione? E dal libro avevano letto assieme, per esempio, «... di tutte le invenzioni di Blasco de Garay la più notevole è la macchina che fa andare le navi senza remi né vele, ma guidate dalla doma volontà dell'acqua...»?
    Le pagine del volume mostravano tracce di umidità e chiazze ocra che minacciavano di invadere i testi. In don Genaro il ricordo di Pilar Solorzano non aveva macchie né ombre.
    Voglio credere che quell'amore, come il libro, sia sopravvissuto alla notte dell'oblio, che al tramonto della sua vita Pilar Solorzano abbia chiamato sua sorella dicendole: «Vie¬ni, voglio parlarti di Genaro Blanco», e che quando è ammutolita davanti all'abisso degli anni, il silenzio condiviso sia stato un immacolato linguaggio di amanti, più potente di tutte le assenze, di tutti i dolori, e che la forza di quell'amore sia rimasta intatta, alimentata dalla certezza del mio ineluttabile arrivo, previsto da un'enigmatica volontà che mi ha scelto come testimone di questo incontro mancato al di là del tempo.

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  26. Friends Reunited: Modigliani and Picasso

    The Italian painter's portrait of his neighbour is a key exhibit at a show celebrating his work. Louise Jury examines the artists' relationship early last century and tells how they drifted apart


    Thursday, 20 October 2005
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    When the Italian-born artist Amedeo Modigliani painted his friend and neighbour Pablo Picasso in 1915, Paris was the centre of the artistic universe. First in Montmartre and later in Montparnasse, a diverse and glittering circle of creative individuals, including the Mexican artist Diego Rivera and the Romanian sculptor Constantin Brancusi, and writers including the poets Apollinaire and Max Jacob, shared ideas, influences and drinks.


    Artistic communities have rarely been celibate or sober, but even by those standards Modigliani was a bohemian par excellence, an enthusiastic imbiber of alcohol and drugs with a succession of fiery relationships. His excesses were such that Picasso eventually wearied of them and the two colleagues drifted apart, although when Modigliani died in 1920 at the tragically early age of 35, Picasso did attend the funeral.

    But now their friendship, as immortalised in paint, will be one of the highlights of the first exhibition of Modigliani's paintings in Britain for more than 40 years, at the Royal Academy in London.

    The exhibition will bring together up to 60 works of the more than 300 authenticated Modiglianis, some of which have not been seen in public for decades, from private and public collections from Honolulu to South America and Japan. Among them will be the biggest gathering of his famous nudes probably ever seen. The show will examine the myths surrounding an artist whose distinctive elongated portraits and nudes have made him instantly identifiable to anyone with a vestige of an interest in art.

    Modigliani was born into a cultivated Jewish family in Livorno, Italy, in 1884, where his father was an unsuccessful businessman and his unconventional mother ran an experimental school. He studied art in Florence and Venice before moving to Paris where he quickly got to know everyone and they him. He painted Picasso and Rivera, and the Spanish Cubist Juan Gris, in addition to dealers such as Paul Guillaume and Leopold Zborowski, as well as assorted girlfriends and models.

    He and Picasso certainly knew each other well, having met when Modigliani first went to Paris in 1906 and lived in Le Bateau-Lavoir artistic community, where Picasso also had a studio and was working on works such as Les Demoiselles d'Avignon.

    As well as sitting for Modigliani, Picasso owned several works by him, including Girl with Brown Hair, dating from 1918, which is being lent to the Royal Academy by the Musée Picasso in Paris. The Picasso portrait by Modigliani, which was owned by Picasso at one point in the 1930s, is being lent from a private collection.

    Both artists shared an interest in African art, which influenced their respective work. Picasso is reported to have once said that Modigliani was the only man who knew how to dress and he tried to help him get a dealer.

    But it appears they drifted apart. "From what one knows, it seems that after a while Picasso found him a bit tedious, with all the drinking and the drugs. He didn't approve of his lifestyle very much," Simonetta Fraquelli, the London exhibition's curator, said.

    Modigliano indulged in the bad behaviour that had long been romantically regarded as quintessentially artistic. His rows with his girlfriends were legendary in the streets where he lived. André Salmon, the writer and critic, described him as dragging one along by the wrist "like a madman, crazy with savage hatred".

    And he was widely regarded as uncouth, although with some suspicions that his bad-boy reputation was calculated. Picasso once suggested that he was only ever drunk centre-stage: "It's odd but you never see Modigliani drunk anywhere but at the corners of the Boulevard Montmartre and the Boulevard Raspail."

    Beatrice Hastings, a South African-born English writer who was one of Modigliani's partners for a while, described him as both "a swine and a pearl" and recalled later in life how he was smoking hashish and drinking brandy when they met in 1914. He "never completed anything good under the influence of hashish", she said.

    The artist could not stand the influential French artist and writer Jean Cocteau, who also frequented the same circles of the time, but, she said, had respect only for Picasso and the poet Max Jacob.

    Modigliani's only solo exhibition in France, in 1917, was closed by police officers shocked at the nudes hanging in the window, creating a scandal that added to the artist's reputation.

    But Ms Fraquelli said that one of the common myths around the artist - that he was largely ignored in his lifetime - was not true. He showed in many group exhibitions in Paris, including alongside Picasso, as well as in London, where in 1919 the writer Arnold Bennett paid so high a price for a painting that Modigliani and his final partner, Jeanne Hébuterne, were finally able to move into their first real home, an apartment in the Rue de la Grande Chaumière, immediately above one once occupied by Gauguin.

    The period when Modigliani was living in Paris - which overlaps with the final years now being explored in the Degas, Sickert and Toulouse-Lautrec exhibition at the Tate Britain - was one of enormous excitement in France.

    "Every aspiring artist made his way to the Mecca that was Paris," Ms Fraquelli said. "There was an explosion of artists in Paris, people coming from eastern Europe, from Spain, from Italy. Paris was the capital of art. It was a bit like coming to London now; there was a lot going on."

    Yet it all ended in tragedy for Modigliani. A combination of infection and alcohol and drug abuse left him fatally weakened. About a fortnight after celebrating new year in style, he was was discovered by neighbours delirious and suffering from tubercular meningitis. He died on 24 January 1920.

    Jeanne, by whom he already had one child and who was expecting a second, killed herself a day later, by throwing herself from her parents' fifth-floor apartment.

    While not exactly debunking the many stories about Modigliani, Ms Fraquelli at least aims to resurrect his reputation as an artist. "The myths that surround him have somewhat clouded our view of his art. He certainly did live the bohemian life, there's no doubt about it, but he also painted a lot of wonderful paintings," she said.

    "So much has been written about his dissolute bohemian life in Montparnasse that less work has been done looking at his art in its context. He is an artist who has had enormous popular appeal; he's an artist who fires the public imagination, but in terms of art criticism he hasn't been looked at so closely."

    Serious academic research is now being carried out among writings of the period to fill in gaps in the records and augment the little that Modigliani himself seems to have written about his work. A new catalogue, including some works thought lost but newly traced, will be published to coincide with the summer exhibition.

    Norman Rosenthal, exhibitions secretary at the Royal Academy, said: "People have always been slightly snobbish against Modigliani, but he was part of the intellectual artistic milieu of Paris and was taken seriously by everybody from Picasso downwards.

    "He was a very clever person and his contribution as a portraitist is really unique. There's no one who quite tries to develop the idea of Modernism through portraiture and through the nude as he does."

    Modigliani was close to the Cubist circle of Picasso, but while his paintings in the period from 1914 to 1916 were almost geometric in form, he never entirely embraced Cubism in his art. "He never breaks down the image in the way Cubism does; he never fragments his image," Ms Fraquelli said.

    Confronted with the anti-Semitism of France, he also forged friendships with the large circle of Jewish artists in Paris, many of whom had arrived from eastern Europe, though they seemed less influential on his work.

    Ms Fraquelli said he seemed as much inspired by the Italian classical tradition of Giorgione and Titian as anything. "He was very conscious of the art of the past and he had had a classical training in Italy."

    His untimely death leaves the experts speculating what he might have produced had he lived. But dying young certainly appears not to have harmed his sales at auction houses, where one Modigliani sold not long ago for more than $30m (£17m). There is also an alarmingly thriving trade in fakes. And in exhibitions in Europe and America, his reputation has been re- examined in recent years in a number of significant shows.

    Now Britain is finally to catch up. Thirteen years after 134,000 people visited the Royal Academy to see a collection of Modig-liani drawings that belonged to Paul Alexandre, his first great patron, Norman Rosenthal believes the paintings will be an enormous success. "We've been looking to do this for a while and we expect it to be a blockbuster. He's a blockbustery sort of artist."

    "Modigliani and his Models" will be at the Royal Academy of Arts, London, 8 July to 15 October 2006

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  27. Movie Review: Modigliani
    Written by Richard Marcus
    Published September 29, 2005
    See also:
    » DVD Review: The Port Of Last Resort
    » TV Review: House Season Finale - "No Reason"
    » DVD Review: High Tension
    page 1 | 2
    It's a running battle throughout the movie, culminating in a competition sponsored by the Salon D'Artists, with a prize of 5,000 francs being awarded to the winner. Of much more importance, of course, will be bragging rights for being judged the best painter in Paris.

    Only once is there a truce, a drive into the country, where Picasso takes Modigliani to visit Renoir. On their return to Paris, we are given a glimpse of the real respect that they hold for each other; what has been spiteful until now is replaced by gentle teasing. However, as if they were actors performing a role, on their return to Paris they revert back to form.

    In the movie, Modigliani's relationship with Jeanne Hebuterne has been idealized along the star-crossed lovers line. The poor Jewish artist in love with the middle-class Catholic girl with the disapproving father; although this is true, they were also legendary for their public brawls.

    While Mick Davis may have played fast and loose with the truth (at the beginning of the movie they tell you they have) he has created a movie that captures, better than any other, the close proximity of creative genius to madness and excess. To feel so much that you are inspired to create is a dangerous business. Extremes of emotions can take the soul to the highest points of heaven and the deepest pits of hell.

    For an actor to be able portray this without him slipping into excess takes extreme discipline and a unique command of his craft. I have to admit that I've never been the biggest fan of Andy Garcia, but in this movie he is spectacular. While always ensuring that we are cheering for Modigliani to succeed, he is also unwavering in his depiction of the less savoury aspects of the man.

    In fact the cast is universally gifted, from the smallest supporting player through to the leads there is no weak link to tarnish this great work. Elsa Zylberstein as Jeanne, Omid Djalili as Picasso, and Hippolyte Girardot as the artist Maurice Utrillo stand out in particular for their gifted performances.

    The truly amazing thing about this movie has been Davis' ability to capture the atmosphere of Paris during this period. From the decadent parties, to the genuine passions of the artists, he gives us a front row seat to one of the most important eras in art history of the modern world.

    There is a sequence of shots near the end of the movie in which he focuses on the five artists who are competing for the Salon D'Artiste prize. He quickly cuts form artist to artist: in mid brush stoke, in frustration, in contemplation and in frenzy, as they struggle with transferring what their mind's eye sees on to canvass. These little snippets of film do more to show the artistic process than almost anything else I have ever seen depicted on film.

    Mick Davis' Modigliani is a movie well worth seeing for both the fine performances of all involved, and for its recreation of one of the most exciting periods of artistic history.
    ed/Pub:NB

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  28. Paris in 1919 had seen the greatest destruction known to the world at that time come to its very suburbs. The battlefields of World War One were so close that men on leave could take taxis to the front. Perhaps it was this proximity to death and destruction, or maybe just a chance meeting of minds, but Paris became home to one of the greatest outbursts of human artistic creativity since Renaissance Italy.

    The city had always been considered the centre of the artistic universe for Europeans, but at the end of World War One there was an explosion of artistic expression that was only quelled with the outbreak of World War Two. The twenty-year interval between conflicts would see those who would shape artistic expression for the twentieth century all gather within the confines of a few square blocks.

    Writers, philosophers, painters, dancers, musicians and sculptors worked, loved, fought, drank, and did drugs; all of them determined to cram as much living as possible into every single moment. Having witnessed how easy it was for a life to be here one day and gone the next, no one wanted to risk not having done as much as possible.

    Many of us have heard of the more famous inhabitants of the artist's quarter: Picasso, Stien, Jean Cocteau, Hemmingway, and F. Scott Fitzgerald. But there were other, equally important, though not as renowned, men and women striving to express the emotional turmoil of the period. One of these was the sculpture/painter Amedeo Modigliani.

    Supposedly, Modigliani epitomized the figure of the romantic artist struggling with passion and madness. Whether it was an artifice created on his part or not is open to debate, but what is true and known is that he lived, loved and indulged in drink and drugs excessively. While the others around him were influenced by the potential for death and destruction, Modigliani carried within him a death sentence.

    As a child he had contracted tuberculosis, which in those days meant your days were numbered. Most likely it was this that inspired the excesses that shortened his life, but enriched his days. He did in fact end up dying in 1920 of tubercular meningitis.

    In Mick Davis film Modigliani, it's the romantic figure of the artist wrestling with his demons who is the star of the film. It is the last year of his life, 1919, and he and his lover Jeanne have one child and are expecting another. His insistence on playing the role of the romantic artist has alienated him from the elite of the Paris art scene, including such luminaries as Picasso and Jean Cocteau.


    What the truth to the conflict is, I don't know, but the film depicts Modigliani and Picasso as continually confronting each other. Picasso has already achieved success and recognition and lives in some comfort, while Modigliani continues to live in a garret, having to steal for food, drugs, and wine. Whether it's jealousy alone that motivates him, or a desire to stick a pin into the bubble of Picasso's enormous ego, Modigliani goes out of his way to aggravate his more famous contemporary.

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  29. this film was really interesting, tells the story of Modigliani, a great painter. Modigliani was a man who dedicated his life to painting and how each artist takes drugs and drank to excess. His wife loved him and devoted himself to him. unfortunately died of a severe illness caused by drugs and drink.

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  30. Thank you , Alberto!!! Just few mistakes: this film was really interesting: it tells the story of Modigliani, a great painter. He was a man who devoted his life to painting but he also brought his life to the excesses. He drank a lot and used drugs too. His wife loved him and devoted all her life to him. Unfortunately he died of a serious illness caused by the use of drugs.

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